Mar 28

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VERONA CONTRO POPOLARE DI VICENZA

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La sentenza pronunciata dal Tribunale di Verona, Giudice Vaccari, in data 26 marzo, ha condannato la Banca popolare di Vicenza Spa a rimborsare ad una risparmiatrice di 68 anni la somma di circa 40.000,00 euro investita in azioni della banca.

Di seguito qualche nostra considerazione a riguardo, con la precisazione che si tratta di una sentenza che decide il singolo caso sottoposto alla attenzione del giudice e non contiene principi generali utilizzabili in altri procedimenti, se non rispetto all’accostamento che viene fatto fra azioni illiquide e derivati, accostamento che, anticipiamo, ci pare però molto criticabile.

COMPETENZA
Anzitutto la sentenza conferma un precedente provvedimento dello stesso Giudice Vaccari del 9 novembre 2016 con cui era stata confermata la competenza del Tribunale ordinario anziché della Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Venezia.
In questo il giudice attribuisce prevalenza alla causa giuridica dell’investimento rispetto a quella del rapporto societario (perché chi acquista in azioni di una popolare non quotata ne diventa prima di tutto socio a tutti gli effetti).
Noi continuiamo a ritenere che la competenza corretta sia quella del Tribunale di Venezia, perché la riforma del 2012 al decreto che istituisce le Sezioni Specializzate ha attribuito a queste la competenza anche per le questioni solo connesse a quelle per cui la Sezione sarebbe competente. C’è quindi un favor, una preferenza del legislatore per la concentrazione dei contenziosi in queste sezioni.

LE CONTESTAZIONI DELLA CLIENTE
Sono sostanzialmente due i profili di contestazione su cui si è basata la risparmiatrice in causa. Uno insisteva su di un piano formale e censurava il mancato rispetto di obblighi di forma (su tutti la mancata sottoposizione al cliente di un contratto generale di investimento la cui mancanza comporta la nullità dell’investimento). L’altro atteneva al mancato adempimento da parte della banca di quelli che vengono chiamati obblighi di condotta in fase di negoziazione: obblighi informativi e di valutazione dell’adeguatezza e appropriatezza dell’investimento.
La cliente aveva anche lamentato il prezzo non congruo delle azioni, ma in maniera piuttosto tranchant il Giudice ha ricordato che nelle banche di credito cooperativo è l’assemblea a fare il prezzo delle azioni, ratificando la proposta del Cda (rimarrebbe questione aperta quella della possibilità di contestazione per l’azionista che abbia espresso voto contrario).
La cliente lamentava anche che la banca non avesse dato corso alla richiesta di vendita delle azioni, ma in questo il Giudice ha avuto buon gioco nel ricordare che ai sensi dell’art. 18 dello Statuto non vi fosse nessuno obbligo di riacquisto da parte della banca.
La sentenza ha dato invece ragione alla risparmiatrice rispetto alla insufficiente informazione circa il carattere illiquido dei titoli Popolare di Vicenza. In questo la sentenza può effettivamente risultare utile. Perché la banca è tenuta a fornire informazioni chiare sulla natura, le caratteristiche e i rischi degli strumenti negoziati, compreso il rischio di perdite dell’investimento, la sua volatilità e limiti alla sua liquidabilità (art. 31 reg. Consob 16190). Nel 2009 la Consob ha specificato gli obblighi informativi per tale tipologia di titoli, arricchendo il contenuto informativo dovuti. Il Giudice ha quindi ritenuto non sufficiente l’informativa generica contenuta in un documento precontrattuale consegnato dalla banca alla risparmiatrice.
Il giudice ha quindi ritenuto la violazione di questo obbligo informativo, perché la risparmiatrice non venne informata che lo specifico titolo negoziato fosse appunto un titolo illiquido e di quali conseguenze ciò avrebbe potuto comportare.
Il giudice ha anche ritenuto la violazione dell’obbligo di valutarne l’appropriatezza, ossia la conformità rispetto alla pregressa esperienza di investimento del cliente. In questo la sentenza si fa però piuttosto ambiziosa, perché si spinge a sostenere che benché la risparmiatrice avesse affermato nel questionario sottopostole di conoscere la tipologia di investimento azionario, il giudice afferma che però questo non fosse sufficiente, perché un’azione illiquida andrebbe considerata alla stessa stregua di un derivato OTC anziché di un’azione ordinaria in un mercato quotato, che invece la risparmiatrice aveva dichiarato di non conoscere.
La risparmiatrice aveva anche dimostrato una pregressa esperienza in investimenti in fondi obbligazionari, dal grado di rischio decisamente inferiore.